Centro di burnout permanente
Cosa significa, perché ci riguarda, cosa fare se, e Never Up Never In
N.2 - 14/02/2022
L’OMS - dai la conoscete penso - l’ha confermato già nel 2019. Si tratta di una sindrome, a tutti gli effetti. L'ultima - e anche la prima - volta che ci siamo scritti abbiamo parlato di colloqui per rimanere, di Great Resignation, dimissioni. Cerco di seguire un filo logico: oggi parliamo di burnout, che con le dimissioni c’entra spesso e volentieri. Ok, il titolo un po’ provoca, non ve la prendete, si chiama clickbaiting bellezza.
Negli anni ‘70, lo psicologo Herbert Freudenberger è stato il primo ad utilizzare il termine burnout in uno studio scientifico pubblicato su una rivista di psicologia. I suoi studi riguardavano il suo staff, duramente impegnato in una clinica per dipendenze gravi.
DEFINIZIONE TECNICA - L'Oms definisce il burnout "una sindrome concettualizzata come conseguenza di stress cronico sul posto di lavoro non gestito con successo".
È curioso no? La prima volta il burnout viene connesso alla dipendenza, in maniera che sembra casuale. Ma forse non lo è del tutto.
(img gentilmente sottratta in maniera fraudolenta ad un noto giornale americano di cui non faccio nome)
Da un pezzo del Nyt (questo, appunto) riprendo una specifica: Researchers define burnout as a syndrome with three dimensions: exhaustion, cynicism and a sense of ineffectiveness.
Non penso di dover tradurre ma provo, forte delle mie 5 lezioni di inglese con Yulia (grazie): senso di sfinimento o esaurimento, cinismo, senso di inutilità o di inefficacia.
Jack Kelly, CEO, founder recruiter e altre cose ancora, in questo articolo di Forbes snocciola i numeri del burnout, e, se erano francamente impressionanti pre-Covid, in qualche modo sembrano maggiorati e gonfiati ulteriormente dalla pandemia.
Si rifà ad un’indagine di Indeed, il noto motore di ricerca lavorativa di proprietà del gruppo Recruit, che sottolinea alcuni dati impressionanti:
circa il 52% degli intervistati si sono sentiti in burnout nel 2021. Erano il 43% prima del Covid.
I numeri sono peggiori per la Generazione Z, che raggiunge picchi del 58%. Che vuol dire 6 persone su 10, intorno a voi. Se non sei tu, quasi.
In generale comunque tutte le fasce di età hanno sperimentato un incremento: i baby boomers un +7%, 1 su 3.
C’entra tantissimo il Covid, ovviamente. Tra tutti gli intervistati, l'80% crede che il Covid-19 abbia avuto un impatto di qualche tipo (quasi tutti pensano molto negativo) sul burnout sul posto del lavoro.
Non solo per una questione di stress dovuto alle conseguenze della malattia, ai contagi, ai vari lockdown nazionali e regionali no. Sono aumentati perché, banalmente, e credo sia un'esperienza piuttosto comune, è diventato molto difficile staccare del tutto, e molti manager non hanno e probabilmente non avranno mai la sensibilità e la testa smart per delimitare ferocemente i confini tra spazio lavorativo e spazio privato, tempo lavorativo e tempo per altro.
Anzi, assaltano questi confini con frequenza disarmante. Lo abbiamo sperimentato quasi tutti, in varie misure e su vari livelli, non credo di dire niente di strano.
E, va detto, non trovano nessuno a difenderli: in Italia dire di no al proprio manager o semplicemente delimitare gli spazi è una pratica poco abituale. Chi ama lavorare ama anche mostrarlo e dimostrarlo, in un tic pavloviano spesso difficile da spiegare all'estero, che deve avere radici connesse con alcune narrazioni (quella dei fannulloni, quella del tengo famiglia, quella del padre padrone) e lacune culturali.
C'è un motivo se esiste una guida su WikiHow anche per dire di no. Oddio, c'è una guida per tutto, ma forse non c'è un articolo di Monster sull'argomento.
Il tema del burnout è del tutto legato al tema di genere: le donne devono anche in questo campo portare un peso maggiore. Un sintetico articolo del Sole 24 Ore - che si base su una roba ben più consistente - spiega come il burnout gap tra donne e uomini sia raddoppiato rispetto ad un anno fa. Poco meno della metà della popolazione lavorativa femminile è vicina al burnout, e questo nonostante sia decisamente più di supporto nei team in questo genere di situazioni.
In generale, come sempre quando si parla di sanità mentale, parlarne è un tabù. Pensate agli sportivi: ci stupiscono i casi, alcuni eclatanti, di atleti iper premiati che hanno avuto sintomi depressivi. Nel calcio italiano un giocatore dell’Atalanta, Ilicic, sta ancora combattendo contro questo male fin troppo comune, e fin troppo banalizzato. Ma il suo allenatore, Gasperini, ha detto che è meglio non parlarne. Appunto.
Nel mondo del lavoro, il burnout è molto più nel mondo del NON DETTO: in un paese che spesso considera il lavoro un privilegio, spesso concesso generosamente da cavalieri del lavoro munifici e luculliani, parlare di problemi mentali sul lavoro è raro, complicato, spesso ostico.
Ho avuto modo di osservare da vicino persone che hanno quasi raggiunto il limite. In passato qualcuno l’ha anche superato.
E ho osservato a lungo persone che dondolavano pericolosamente su quello stesso limite. Il burnout, al netto delle definizioni, è valicare un confine di senso, di profondità, intimo, e farlo talmente tante volte che quel confine non si distingue più. Non si sa più bene quando è cominciato, quando il lavoro è diventato così.
McKinsey & Company, una delle più grandi società di consulenza manageriale del mondo, ha circoscritto 4 macro-insiemi che ci tornano utili nel raccontare il burnout: potrebbe nascere da motivazioni individuali, interpersonali, di team, aziendali. Sono 4 livelli del tutto differenti, che interrogano ragioni e motivazioni diverse.
Personale: è chiaro che c’è molto di personale, intimo, connesso alle nostre più profonde esigenze e responsabilità e visioni e chimica su come viviamo il posto di lavoro. I temi sono tanti, non posso che banalizzarli mettendoli in fila. Ma qualcuno è in voga: il famoso work-life balance, tanto per citare un macro-universo. Vi regalo un Sinek, visto che ho detto work-life balance:
Interpersonale: un ambiente di lavoro sano si basa sulla fiducia, la responsabilità, e la capacità di testare continuamente il polso dei collaboratori, dei dipendenti, del proprio team e dei propri colleghi.
Team: checché ne pensino i boomer, se si viene gettati in un branco di lupi affamati non se ne esce capobranco, mai. E tirandoci fuori da una metafora animale fin troppo abusata e perfino inesatta (Jack London non sarebbe d’accordo), in realtà è molto spesso - troppo spesso - il sistema a generare il burnout, non solo la persona. Sono una serie di realtà sistemiche a causarlo: tra queste c’è anche un team che non fa il team.
Aziendale: ecco appunto, sistemiche. Un piccolo appunto dal fantastico mondo di Twitter che sintetizza bene qui sotto.
LIBRERIA DI LINK
Questo articolo parla di mancanza di amore sul posto di lavoro. La prospettiva sembra un po' too much Messaggio di Miss Italia, ma in realtà indaga senza essere naif alcune cose interessanti. E poi è San Valentino, che diamine.
Qui invece un pezzone di opinione del New York Times (forse il video vi dice qualcosa eeeem)
Oops, avevo preparato un po’ di link, ma poi ho pensato che in effetti poteva bastarvi questo maxi articolo che ho trovato sul profilo LinkedIn di G, lunghissimo ma molto figo.
Non è strettamente sul burnout, ma interroga dinamiche personali secondo me sensibili. Parte un po’ per la tangente ad un certo punto, ma prima è molto interessante:
Penso da un bel po’ a questa storiella che ho trovato in questo maxi pezzo:
Abd al-Rahman III, the emir and caliph of Córdoba in 10th-century Spain, summed up a life of worldly success at about age 70: “I have now reigned above 50 years in victory or peace; beloved by my subjects, dreaded by my enemies, and respected by my allies. Riches and honors, power and pleasure, have waited on my call.”
And the payoff? “I have diligently numbered the days of pure and genuine happiness which have fallen to my lot,” he wrote. “They amount to 14.”
Sul posto di lavoro, quanti giorni felici ultimamente potete contare?
Un buon punto di partenza direi.
Sinek qui su LinkedIn, prendetevi qualche secondo per sentirlo, dice un’altra cosa che mi ha colpito: ok, lui aveva senza volerlo sviluppato un paradigma - per quanto positivo - a cui era impossibile sottrarsi, in qualche modo giudicante.
Ma tutto il discorso si fonda su una sua consapevolezza acquisita dopo le urla di fronte alla stagista: la consapevolezza che cavolo, bisogna essere indulgenti con noi stessi. Rientra nell’insieme Personale di cui sopra, ed è un tema preventivo che spesso sottovalutiamo.
Ma il problema è sistemico: ok, Vice qui interpella un po’ di psicologi su come concretamente provare ad evitare il burnout, prevenirlo. Non sono un patito di Vice, a volte lo trovo orrendo, ma questo pezzo vale. Una terapeuta racconta a Vice che:
“Le persone arrivano al punto di dire, ‘sono in burnout, non so come ci sono arrivato,’ eppure in retrospettiva ci sono sempre segnali e sintomi”.
Di recente ne ha parlato il Principe Harry, di burnout e salute mentale. Ok, Vogue lo riprende e ne sottolinea il messaggio mettendo una foto con la mamma, credo per vincere il premio Sensibilità 2022.
Ecco, non essere Vogue nella vita.
Non voglio tirare fuori altre liste su come evitare il burnout, sono abbastanza simili tra loro e sulla falsariga di questo tweet:
Di base servono supporti seri, dai servizi psicologici online. Almeno due li conosco di persona, Serenis e Unobravo. Permettono di scegliere il professionista, imparare a fidarsi, parlarne. Il cervello è la cosa che studiamo di più e conosciamo di meno, ed è molto complicato stabilire una differenza tra mente (quello che pensiamo, l’uragano di pensieri che ci sta sbattendo in testa in ogni nanosecondo) e quel peso specifico pieno di neuroni e complesse risultanze neurochimiche.
In generale, il supporto psicologico - online, offline, dove vi pare - è un valido aiuto per tantissime situazioni. Non voglio poi entrare su altri temi personali: ok la mindfulness, altre forme di meditazione, pregare, interrogarsi.
Proprio perché ci avventuriamo in un universo sconosciuto, dovremmo uscire dal tabù a partire dal livello aziendale e manageriale (vorrei dire statale, ma abbiamo già perso un’occasione (anche se - notizia delle ultime ore - pare si stia mettendo una toppa).
Dovrebbe essere la stessa azienda a creare supporti psicologici permanenti interni, seminari sull’argomento, indurre alla riflessione e alla formazione sul tema. Se qualcuno è in burnout, sai riconoscerlo? La tua azienda dovrebbe darti gli strumenti e non rendersi complice del tuo innaturale girarti dall’altra parte.
I corvi, leggevo qui, quando vedono un loro collega stecchito gli organizzano una specie di funerale, anche solo per far vedere agli altri che quella zona non è sicura. Ok, a volte fanno pure sesso con la salma, ma non volevo rovinarvi San Valentino.
Gli uomini al contrario spesso ignorano volutamente: non a caso, in una recente e piuttosto acclamata intervista - forse per i motivi sbagliati ma ok - Papa Francesco ha inserito l’indifferenza tra i mali che più affliggono l’uomo moderno, e non è andato troppo lontano dal bersaglio.
Non voglio andare sull’idealismo3, ma spesso piccoli atti di gentilezza hanno un potere che spesso ignoriamo. Comunque concludiamo, che sennò attaccate tardi.
NEVER UP - In una serie TV che vi consiglio su Amazon Prime Video, con Nicole Kidman, Nine Perfect Strangers, c'è una frase con cui vale la pena iniziare questo lunedì: never up, never in.
La serie racchiude 9 persone in un centro benessere davvero speciale: hanno tutte e tutti dolori, ossessioni, follie, drammi, choc da affrontare. E Nicole Kidman ha un suo metodo speciale, molto speciale, durissimo ma alla fine perfino toccante, di cambiare le loro vite. Questa serie vi affonda dentro, anche perché ha bellissime GIF devo dire:
Io non credo nel caso, e penso che, se stai leggendo questa newsletter, hai avuto o avrai modo di riflettere su come stai vivendo il tuo lavoro. E come lo stanno vivendo alcune persone intorno a te, che magari ti sono care.
Never Up, Never In.
Viene dal golf, possiamo immaginarla rivolta alla pallina: se non va verso l'alto, non andrà in buca. Bisogna puntare in alto e tirarla forte questa pallina nella propria gestione personale del lavoro, nei rapporti interpersonali, nella scelta dell’azienda e nel modo in cui la si vuole influenzare, cambiare, rivoluzionare anche su un tema così forte come la salute mentale e il burnout.
E per iniziare la settimana, direi che vi ho già abbastanza caricato di responsabilità e doveri. D’altro canto è San Valentino, è un piccolo gesto di amore per voi.
PICCOLO RECAP: abbiamo letto molto e capito che il burnout è veramente un argomento complesso, ma si può contribuire a prevenirlo se si sa come riconoscerlo. E non è un caso se ci state pensando proprio voi. Lo dice Nicole Kidman.
Ciao Ciao, a lunedì prossimo
Buona giornata