Quando si diventa troppo vecchi sul lavoro? 👴
L'ageismo sul posto di lavoro è un problema, e ci potrebbe riguardare prima di quanto pensiamo
Ciao e buongiorno e buon lunedì a tutte e tutti.
Io ho una relazione un po' strana con la vecchiaia, l'età, lo scorrere ineludibile del tempo e tutte quelle menate.
Nella mia azienda sono vecchio, credo, per almeno due motivi: ci sono tantissimi ragazzi rampanti nel Digital, le ragazze mi danno del vecchio e i ragazzi mi spiegano come parlano e mi fanno i tunnel a calciotto (tipico segnale di età che avanza). Quindi per loro sono abbastanza vecchio.
E ho 3 figli, un fattore di invecchiamento precoce che credo stiano studiando al CERN.
Mio nonno, sempre piuttosto scherzoso, la prendeva meglio: sosteneva di aver tinto la barba di bianco, di avere 25 anni e di essere amico di Superman. Almeno una di queste 3 affermazioni per me è sempre stata e sarà sempre vera. Propendo per Superman.
Comunque, al netto di questo mio spaccato irrilevante di vita personale, il mondo del lavoro ha parecchi problemi con gli anni che passano.
L'ufficio, e il mondo del lavoro, che relazione ha con l'età che avanza?
Ci sono molti discorsi che si possono fare sull’età che avanza.
Il percorso di una vita è più o meno lungo. Può essere fatalmente molto breve, tragicamente corto, e sicuramente – ne parlavamo qualche giorno fa in chat con i colleghi, raccontandoci l’omicidio stradale di un ragazzo di 18 anni romano – è una roba che deve farci riflettere sul valore del tempo e sulla qualità delle nostre attività quotidiane.
Non abbiamo un reale controllo del tempo a disposizione, e in generale, anche se l’aspettativa di vita si allunga, di fronte ad eventi tragici dovremmo tutti toglierci un po’ di deliri di onnipotenza. C’è una buona probabilità che quasi nessuno di voi che leggete, e nemmeno io, moriremo nel nostro letto a 90 anni, in buona salute e belli lucidi. Facciamoci caso, la vita non va quasi mai così. Accettarlo, essere consapevoli di questo limite e spingere forte sull’acceleratore della spinta verso l’altro (e non dell’egoismo edonistico) potrebbe essere un buon punto di partenza di questo lunedì. Fine parte da bigliettino nel cioccolatino, ora parliamo di come l’età sul posto di lavoro sia sempre un po’ un problema.
Prima di tutto: l’ageismo –la discriminazione contro persone, leggi lavoratrici e lavoratori, di una certa età – è un tema piuttosto delicato. In Danimarca hanno fatto una legge a tutela di chi sul posto di lavoro, in fase di colloquio e via discorrendo viene discriminato per via dell’età.
Se fate mente locale, i +55 che conosciamo che perdono il lavoro o che stanno per si preoccupano davvero molto, e hanno buone ragioni per farlo.
Google espone alcune grandi paure di chi passa i 50, con la sez Le persone hanno anche chiesto:
Per inciso, le risposte alla prima domande sono piuttosto banali, o forse no:
scrivere un cv
rivolgersi ad un centro con l’impiego
cercare online annunci di lavoro.
Per le generazioni dai Millennial in poi questa è la norma basic, ma non lo è per tutte le età. Questa è una roba da ricordare anche nelle relazioni intergenerazionali: quello che è scontato per te, non lo è per il tuo collega di 50 anni. O viceversa.
Qualche anno fa Mark Zuckerberg, prima di doversi difendere di fronte al Congresso degli Stati Uniti, ha detto “le persone giovani sono più smart”. E nessuno lo ha accuso di ageismo.
Come ricorda questo articolo, → Ageism in the workplace – the forgotten DE&I factor:
I lavoratori più anziani, oltre all'esperienza, apportano molto all'organizzazione: saggezza, conoscenza dei rapporti interpersonali, chiarezza, comprensione e spesso una calma di approccio che può essere incredibilmente preziosa. Spesso sono in grado di vedere il quadro generale e di comprendere le dinamiche di squadra meglio di chiunque altro.
Il problema per loro però è questo: il loro lavoro costa. Eppure la forza lavoro è destinata ad invecchiare. Il lavoratore più senior è follemente pesante rispetto ad uno stagista in termine di ore-lavoro. Al netto di ruoli di comando (nessuno metterebbe uno stagista a fare il manager, o forse sì? Presumo dipenda dal cognome), quasi ovunque la seniority è quasi un problema. Ma sarà la norma.
Un’azienda di stagisti intercambiabili o finte partite iva magari non diventerà un unicorno, ma è flessibile, costa poco in termini di forza lavoro e spesso riesce comunque a fornire servizi in maniera decorosa, pur abbassando di molto l’asticella della qualità, dell’esperienza, della seniority.
Nonostante la crescita di una forza lavoro sempre più grande d’età, lo sappiamo bene in Italia, con l’età della pensione che viene continuamente ritoccata verso l’alto, tranne rare eccezioni, il bias dell’età frena le assunzioni di persone over 50, che trovano immense difficoltà a ricollocarsi.
Un piccolo punto sulle pensioni in Italia: secondo l’OCSE, nel 2020, l’età media di uscita dal mercato del lavoro in Italia era di 61,8 anni (lo riporta questo articolo). E cresce di continuo.
Ma quando diventiamo troppo vecchi per lavorare? Questo articolo di Monster (sito che si occupa di annunci di lavoro) → How Old Is Too Old to Work? ricorda come negli Usa il problema è piuttosto sentito:
In effetti, la forza lavoro americana sta invecchiando: si prevede che nel 2030 circa il 25% della forza lavoro avrà più di 55 anni. La domanda è: quanto è "vecchio" quando si parla di lavoro?
Sebbene le risposte possano variare da individuo a individuo, poiché spesso dipendono dalla salute fisica, dalla natura del lavoro e dalla situazione finanziaria, la ricerca mostra che diventerà sempre più comune lavorare oltre l'età della pensione.Infatti, meno della metà (45%) dei lavoratori con più di 45 anni ha dichiarato di aspettarsi di lavorare oltre l'età della pensione.
Questo studio valorizza il lavoro dei +55. Si chiama: A Business Case for Workers Age 50+: A Look at the Value of Experience, e spiega come le persone meno giovani siano anche:
Meno resistenti al cambiamento
Meno propensi a lasciare l'organizzazione
Meno propensi a perdere il lavoro
Innovativi e capaci di stare al passo con la tecnologia
Come racconta questa bella intervista di The New Yorker a Louise Aronson, un geriatra e professore di medicina alla University of California, autore del libro Elderhood: Redefining Aging, Transforming Medicine, Reimagining Life, il punto di vista sull’età deve cambiare:
Mi piace pensare a questa fase della storia umana come all'evoluzione di un nuovo stadio di vita. C'è sempre stata, ma non c'erano abbastanza persone, e le situazioni sociali non erano tali da darle un nome. La migliore analogia che mi viene in mente è l'adolescenza, che non era una fase della vita fino a circa centocinquant'anni fa. Anche questa è una nuova fase, e può darsi che alcune persone amino il proprio lavoro e siano fisicamente o cognitivamente in grado di continuare a farlo. Anche questo tende a essere un po' legato alla classe, perché è più probabile che si riesca a fare ciò che si vuole se si è più istruiti e si hanno più opportunità.
Glisso sulla questione di classe, anche se meriterebbe 3-4 newsletter a parte. Non posso glissare però su un altro tema generazionale, ma devo liquidarlo in poche righe: l’età di chi comanda in Italia, e in genere nel mondo. Nei posti di potere le persone realmente giovani nel nostro paese sono pochissime. Giovane non vuole dire sempre e solo talentuoso, competente, meritevole (sul merito si sta sviluppando un bel dibattito su Twitter, spesso anche qui un po’ tralasciando alcune tematiche serie di classe), ma la tendenza di chi detiene il potere – che abbia +55 o +60 – a conservarlo gelosamente è un freno imbarazzante del nostro sviluppo. Ok, non posso parlarne oltre perché sennò vi faccio fare tardi, e vi rubo tempo, e abbiamo capito quanto sia prezioso.
Quindi buon lunedì così, con un ultimo impropero verso generici cattivoni azzimati che ci rubano il futuro. Sembra ageismo anche questo un po’ eh?!
p.s ho rubato quest’immagine di copertina a questo articolo fighissimo, anche se fuori tema.