Per quanto sta in te non essere un eroe sul lavoro
Ma questo non vuol dire vivere di piattume (ok, però nel mondo la pensano diversamente da me) sul lavoro.
L'eroismo sul lavoro fa schifo. All'Università ho studiato Lettere, e quasi sempre quella che, in un tempo remoto, veniva chiamata Lettere antiche.
E uno dei miei ricordi di quel periodo è relativo all'epoca, all'Iliade, al kairòs. Per la cultura greca (un termine generico, aimé, sto semplificando scusate) il kairòs è rappresentato da un giovane nudo e alato. È l'attimo da afferrare, l'evento, il momento che poi passa e non si ripete. Per l'eroe omerico è l'unico vero antidoto all'odioso oblio, all'essere dimenticati, all'essere piccoli senza compiere il proprio destino da eroi. Nell'Iliade ogni eroe ha almeno un vero momento dell'eroe: se gli scappa, non capiterà più.
Per rappresentare la vastità culturale che si è stratificata in questo immenso racconto orale, sul palcoscenico ad ognuno di questi giganteschi eroi locali viene data una chance. E chi la fallisce, o peggio chi si macchia da comportamenti di anti-eroe, finisce male. Come capita ad Aiace Telamonio (sì, viene rappresentato e dà il nome alla celebre squadra olandese dell'Ajax, ed è cugino di Achille, e secondo solo a lui per forza e valore, gigantesco sotto il suo elmo crinito), dalla forza smisurata che si tramuta in follia prima, e poi in una specie di harakiri, un perfetto interprete della civiltà della vergogna che permea tutta l’Iliade e verrà ripresa da Sofocle nella tragedia più antica che ci sia arrivata (450-445 anni prima di Cristo, per intenderci)
Comunque, tutta questa parentesi per dire che, sul lavoro, sono stato sempre educato all'eroismo. In maniera retorica, l'eroe sul lavoro è quello che va sempre oltre le proprie possibilità, gli orari, i propri obblighi quotidiani. Se serve una presentazione per oggi, si fanno le 2 di notte. Etc etc. Scenette che viviamo ogni giorno, con questa faccia di Brad Pitt in Troy, che fa abbastanza pena ma Brad no:
Tanto per chiarire: fa schifo questa roba. È una retorica vecchia, stantia, irrispettosa, del tutto fuori da ogni senso pratico, organizzativo. Vaga tra lo sfruttamento e una scarsa consapevolezza del proprio tempo. Comunque, pensiamoci: nell'Iliade il momento dell'eroe era uno. Non ogni giorno. Questa retorica stakanovista (curioso, che venga dall'Unione Sovietica, ma nemmeno troppo) è frutto di una distorta prospettiva industriale: l'ingranaggio deve funzionare, la produzione deve essere continua e bisogna overperformare sempre e comunque, altrimenti non si merita davvero di fare parte dell’immensa e gloriosa macchina produttiva lanciata verso il futuro.
Un po' quello che succede in Amazon (qui un’inchiesta a fumetti fatta piuttosto bene), quello che sta dietro i nostri pacchetti. Lo dico senza ipocrisia: il mondo moderno si basa su queste forme di sfruttamento iper organizzato, non solo i Mondiali di calcio in Qatar. Ci sono varie scale di acquisizioni e diritti dei lavoratori, è chiaro, ma la matrice è la medesima. Ignorarla è una parte del problema di chi non fa impresa, ma fa parte dell'impresa.
Partiamo da questo articolo 💎 del Sole 24 Ore, di cui cito l’inizio e parte da:
Fonte: State of the Global Workplace 2022, pubblicato da Gallup nel luglio dello stesso anno, riguarda la condizione di stress percepita dai lavoratori. Alla domanda: “Hai sperimentato per buona parte della giornata di ieri uno dei seguenti stati d’animo?” il 44% dei partecipanti, a livello globale, ha risposto di sì riferendosi allo stress. Nel 2020 il tasso era stato del 43% e nel 2019 del 38%. In relazione agli altri stati d’animo indagati, ovvero preoccupazione, rabbia e tristezza, le percentuali nel 2021 sono state rispettivamente del 40%, 23% e 21%, in discesa rispetto al 2020 ma comunque più alte rispetto al 2019 (epoca pre-pandemica).
In un momento di stati d’animo negativi, abbiamo bisogno di eroi.
Nel resto del mondo la concezione dell'eroismo è più simile a come viene solitamente concepito il lavoro in una prospettiva abbastanza tossica. Come ricorda Daniele Furii in un suo fighissimo podcast “Di punto in bianco” sullo sport giapponese, in Capitan Tsubasa (Holly e Benji, per i cultori della serie TV adattata in italiano) assistiamo senza battere ciglio a ragazzini adolescenti o pre- adolescenti che, nel nome del successo sportivo, rischiano letteralmente la vita (il ❤️ di Jun Misugi, aka Julian Ross, che vi ricorda?). Qui trovate la puntata di cui parlo, fatta veramente bene (e non lo dico solo perché siamo colleghi e mi sopporta, ma perché è fatta bene, e anche perché siamo colleghi e mi sopporta):
Daniele lo riconduce ad un preciso momento storico, ma tutto fa parte dell'epica dello spokon, l'eroismo sportivo contro ogni dolore, che supera tutto pur di non arrivare mai secondo. Mi verrebbe da dire che il capitalismo consumista si basa su questo assunto, ma non voglio addentrarmi in discorsi da bar.
Andiamo oltre, con un piccolo richiamo: ok, non abbiamo bisogno di eroi, ma nello stesso tempo in azienda, e i manager che leggono saranno d’accordo, abbiamo bisogno che non ci sia solo piattume. Se un certo numero di dipendenti inevitabilmente sarà più affezionata alla comfort zone, al solito, alle cose pulite e fatte per benino, sempre le stesse, nello stesso tempo è giusto e decisivo che si facciano contaminare da cui pensa, come dicono quelli bravi, out of the box.
Come chi è più sregolato, più fantasioso e creativo ha necessità di binari a volte, e di lasciarsi attrarre da un approccio lavorativo più regolare, più ordinato, meno caotico.
Il futuro, come giustamente dice Valerio Bassan nell’ultima puntata di Ellissi, non è inevitabile. Per le aziende, nei rapporti tra colleghi, nella relazione con le leadership aziendali.
Quindi ricapitolo: no eroi, ma no piattume. Questa immagine di copertina stupenda del The New Yorker ci ricorda a tutti come siamo, come siamo diventati, cosa abbiamo imparato che NON ci piace di come lavoravamo prima ma anche che gli altri ci servono per non rimanere soli.
Chi è oggi un working class hero, un eroe sul lavoro?
Mi sento di dire che la solidarietà diffusa, la mano, la capacità di andare verso l’altro rischia di essere una skill decisiva in una frammentazione continua di orari, luoghi di lavoro, malattie e problematiche economiche che affliggono e affliggeranno molti mercati. C’è sempre più bisogno di chi salva i business salvando le persone, ok l’ho sparata, interessandosi delle persone, senza degradarsi in un piattume relazionare che sa molto di professionalità, ma pure poco di umanità.
Qualche tempo fa sentivo questo podcast SPLENDIDO e racconta una roba che non sapevo nemmeno alla lontana:
Non è una roba facile, è una specie di paradosso: il nostro universo più o meno ordinato, ovvero in un grado di entropia bassa, esiste in maniera del tutto casuale perché, tra le mille combinazioni possibili, vicino ci deve essere un altro universo in entropia – caos – altissimo. Badate bene, è un puro paradosso, ed è solo una teoria.
La fluttuazione casuale che ha dato il via all’universo come lo conosciamo avrebbe più facilmente potuto dare il via ad una serie di cervelli coscienti in un altro universo piuttosto che all’evoluzione e alla selezione come la conosciamo.
L’ho detta malissimo, Balbi – un divulgatore e astrifisico che adoro – la dice molto meglio, ma mi ha fatto riflettere molto su come, in realtà, proprio essere controintuitivo anche nello scardinare i SOLITI RAPPORTI, LE SOLITE COSE, I SOLITI PROBLEMI E PROCESSI potrebbe essere cruciale. Ok, sono partito da una roba lontanissima per arrivare ad un’altra, faccio sempre così, scusate.
Sapete che sono un grande fan dei tool, penso, ma nello stesso tempo sono un grande fan della capacità di riderci su, di sdrammatizzare, di mettere l’accento di persona, de visu. Questo sì, che è un momento dell’eroe: riconoscere l’altro e relazionarsi in maniera viva. Piccoli rituali di gentilezza, abitudini di sostegno e supporto. E vi capiterà, come capita a me, almeno una volta al giorno. Ora, non dico di affrontarlo con il fatalismo culturale di Aiace Telamonio, ma affrontarlo sì, però. Non siamo più nel tempo della vergogna, o forse sì, la riprova social(e) è ancora al centro della nostra mentalità. Ma abbiamo di certo bisogno di questo tipo di eroi, tra un caffè e un task fatto.
Riprendo l’articolo iniziale:
Forse la famigerata leadership diffusa è anche una forma di solidarietà e supporto reciproco e non una moltiplicazione della propensione all’eroismo.
Buona giornata con un po’ di Iliade in testa, i piedi in ufficio e spero un bel caffè, alla prossima,
vi lascio con alcuni articoli che ho letto per scrivere questa newsletter
Qui il New York Times ci ricorda quanto sia LETTERALMENTE importante ricostruire in un’epoca di disastri, e mi ha ispirato
In questo pezzo si parla della sindrome dell’eroe, che in parte descrivo
Infine, in questo pezzone ho preso la roba delle piccole abitudini e routine che ci mandano avanti