Ciao buongiorno a tutte e tutti, qualche annuncio di pura propaganda per iniziare: abbiamo cambiato qualcosina a livello grafico su Coltura aziendale, ovvero il logo, i colori, e introdotto alcune cosine grafiche tipo questa:
Eh già, abbiamo pagato tantissimo il grafico per farcela, ne valeva la pena.
Piccola parentesi personale: sono un po’ stanco di un tipo di atteggiamento che, sono certo, avrete visto in giro. Ovvero la totale mancanza di flessibilità, o meglio il non volersi mai prendere rischi, o meglio il non uscire mai dal proprio piccolo recinto di pecorella non elettrica nutrita sempre con lo stesso cibo che sa di plastica.
Ho letto da qualche parte, va bene, l’ho letto qui su fortune.com, che il 2023 dovrà essere l’anno dell’efficienza. Di base, il concetto è questo: le aziende hanno vissuto un periodo folle, alcune sono crollate nel contesto pandemico, altre lo hanno cavalcato tipo tigri orientali o Rick e Morty sulla loro navicella verso una nuova avventura.
In alcuni settori ci sono state assunzioni di massa, i nuovi bisogni hanno scatenato nuove leve di marketing, nuove tecnologie. Poi questo enorme strappo nella nostra quotidianità è stato rattoppato, in qualche modo, quasi a fingere che non sia mai successo.
Sono tornate in voga frasi come “torniamo alla normalità”, che sul lavoro è comunque già una promessa piuttosto folle, e la normalità è tornata davvero.
Alcuni cambiamenti difficilmente rientreranno all’ovile, altri oramai sono fuggiti dalla stalla: il lavoro ibrido è stato accettato, non è più visto come uno scandaloso e impertinente tentativo di togliersi la giacca e la cravatta e nascondere il pc per non farselo sbirciare dal manager.
Nell’anno dell’efficienza, abbiamo dovuto tutti capire che, in alcuni settori, le vacche grasse fuggite hanno lasciato indietro tanti licenziamenti, o non assunzioni, team più piccoli e mole di lavoro simile a prima.
Siamo in un momento in cui non basta essere produttivi, ma bisogna essere efficienti.
Questo ci porta dal copywriter pubblicitario con sede a San Francisco Laur Wheeler, che ha forgiato il termine Scary Hour. Ne abbiamo già parlato, forse l’avete sentita nominare come "power hour" o "eat the frog". In ogni scenario, la persona è incoraggiata a svolgere prima il compito difficile. Il task più difficile, duro, noioso, banale, farlo subito. Poi tutto il resto.
Ma torniamo al contesto attuale, complesso e con margini di manovra ridotti, che ci impone due cose: la prima, evitare gli atteggiamenti che odiavo all’inizio di questa newsletter, quando il caffè mi aveva appena dato la sua prima graffiata al torpone.
La seconda: non lasciarsi andare. I grandi ritmi lavorativi hanno creato task ripetitivi che sono detestabili, e tendiamo a procrastinare. Uno studio psicologico ha rivelato che il 20% degli americani è un procrastinatore seriale. Cioè fanno proprio della procrastinazione, del rimandare cose spiacevoli, una specie di stile di vita. Come sono i non procrastinatori, tipicamente? Cito:
I non procrastinatori si concentrano sul compito che deve essere svolto. Hanno un'identità personale più forte e sono meno preoccupati di ciò che gli psicologi chiamano "stima sociale" - come piacciamo agli altri - rispetto all'autostima che è ciò che proviamo per noi stessi.
Il pulsante Snooze delle sveglie, che ha più Storia di me, è del 1956, può diventare certe volte volte una specie di ossessione. Quei 9 minuti (sono 9, per inciso, perché per impostarlo sulle sveglie non si riusciva se non o per 9 minuti o per 10 e rotti, e i programmatori hanno preferito lavorare meno, ed evitare la doppia cifra) possono diventare secoli. Mi spiego: tutti spostiamo i task, tutti qualche volta ci vestiamo davvero male nonostante mille meeting o magari più di qualche volta non siamo impeccabile.
Va bene, anzi andrebbe normalizzata come cosa: una nuova educazione, in cui si può andare a lavoro vestito da runner o con una maglietta di calcio e non bisogna vergognarsi di non tagliarsi i capelli ogni 5 giorni da un barber shop di fama. Io vado da uno che me li taglia a 10 euro, non sembra un tatuatore o un buco underground di Londra, ma è bravissimo per inciso. Ok, stop questa parentesi.
Il problema è quando qualche volta diventa sempre. Lasciarsi andare durante i meeting: non cercare sempre di renderli più produttivi o migliori, ma fare come si è sempre fatto.
Lasciarsi andare e lavarsi di meno.
Lasciarsi andare e non curare più le persone intorno, non interessandosi veramente a loro.
Lasciarsi andare e bofonchiare malamente di continuo.
Lasciarsi andare e non trovare più nulla di divertente in quello che si fa.
Lasciarsi andare e passare ore ed ore a perdere tempo.
Lasciarsi andare e non curare più le scadenze importanti del tuo team.
Lasciarsi andare e mandare tutto alla malora.
Lasciarsi andare, e trasformare tutto l’orario di lavoro in un'unica scary hour.
Cito:
"Quando siamo stressati, è più probabile che desideriamo evitare non solo il compito da svolgere, ma anche le emozioni negative che proviamo attorno a quel compito", ha detto Walf in precedenza a Fortune . "Questo perché a livello neuroscientifico di base, abbiamo un pregiudizio verso il presente e preferiamo la ricompensa immediata di sentirci bene quando il cervello rilascia la dopamina neurochimica".
In altre parole, i nostri cervelli sono cablati per affrontare compiti che troviamo divertenti ed evitare quelli che producono sentimenti negativi. Per questo dobbiamo addestrarli a “eat the frog”. Per questo, dobbiamo impedirgli di lasciarsi andare, di farci associare troppo spesso il lavoro a situazioni negative.
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Ok, Luca, ma come si fa?
Secondo me vale l’antica legge universale dello specchio riflesso.
Vado in ordine sparso: se il problema sono le persone, trovati persone che invece ti stimolano a lavoro. Anche molto lontane dalla tua mansione. Specchio riflesso.
Se il problema sono i task, microtaskizza meglio, di più, delega.
Se il problema sono i meeting che ti mettono ansia, o ti annoiano mortalmente, trova dei modi sempre diversi di tenere alta attenzione, concentrazione, perfino ironia o risate.
Chiaramente potete chiamarla come vi pare, a me piaceva questo naming, ma in realtà il senso è: agire. Agisci. Prendi decisioni. Fai scelte. Parlane. Cito ancora:
Un'area di ricerca su cui ci concentriamo è l'indecisione, intenzionalmente in attesa di prendere una decisione. Abbiamo esplorato il motivo per cui alcune persone trovano così difficile prendere decisioni. Certo, la raccolta di risorse e informazioni è produttiva e utile, ma alcune persone sembrano incapaci di prendere decisioni: questi sono i seri procrastinatori. Lasciano che gli altri decidano per loro, quindi non c'è colpa per il fallimento a loro attribuito.
Procrastinare non è aspettare ed è più che ritardare. È una decisione di non agire. È molto utile e utile raccogliere informazioni per prendere una decisione informata, ma quando si continua semplicemente a raccogliere oltre il punto di risorse adeguate, allora si è indecisi e l'attesa è controproducente.
Buon lunedì, decisionalista e veramente efficiente.
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Cosa ho letto per questa newsletter? Ecco la rassegna stampa di oggi, le ultime news interessanti 👇🏻
Rassegna Colturale
La scary hour, detta bene ⚡️
Non è detto che bannare i meeting serva a qualcosa ⚡️
Bisogna portare i meeting ad un livello successivo ⚡️
Due articoli bonus:
💤 Lo Snooze di 9 minuti e la sua storia
💯 Classica lista di 21 cose da fare nel tragitto se vi costringono a tornare a lavoro.
Cosa succede nel mondo? 🌎
Mi sembra giusto aggiornarvi anche su cosa succede a livello mondiale nel mondo del lavoro.
🇰🇷 In Corea del Sud volevano innalzare la settimana lavorativa fino a 69 ore, molte proteste giovanili dopo pare che la cosa sia rientrata. Il pezzo del The Guardian.
🇫🇷 In Francia siamo al decimo giorno di mobilitazioni contro l’innalmente dell’età pensionabile, lunedì Macron incontrerà una delegazione della sua maggioranza per capire se sono riusciti ad allargare il fronte del consenso.
Il New York Times ha dedicato all’Italia e al calo demografico un bel pezzo. I robot potrebbero aiutare i nostri nonni.
Oppure puoi acquistare qualcosa su Amazon da questo link di affiliazione: io ti consiglio lo sponsor di questa newsletter, ovvero l’11 volte comprato Peanut Butter con cui faccio colazione: non è dolciastro o con pezzi di cose dentro, è leggermente affumicato come sapore ed è super.