Buongiorno a tutte e tutti,
ho passato la domenica sera a cercare di capire qualcosa di questo post dei nostri cari amici di McKinsey. Parte dall’assunto: abbiamo intervistato 17mila persone in Europa, e pure voi non state messi bene.
Dopo Great Renegotiation, dopo la Great Resignation, dopo i migliaia di licenziamenti, dopo le previsioni ottimistiche post Covid naufragate tra le rovine ucraine, il primo numero con cui inizieremo la nostra mattinata di lunedì è: 1 su 3 vuole andarsene.
Non sei tu, non è il tuo vicino, ok è quello accanto dall’altra parte. Se stai mandando affannosamente curricula, o ti stai già guardando intorno, ho una buona notizia: non sei sola. Ora tutti dovremmo chiederci: come ti tratteniamo?
Sarà banale: i soldi.
Siamo in un momento di percepita instabilità economica. Conta poco se sia reale, frutto di cabalistiche fluttuazioni dei prezzi o di veri e proprio ladrocini, ma i soldi sono un modo potente per tenere le persone.
Peccato che le aziende, la maggior parte, siano vittime di transizioni poderose, dal pre-Covid, al periodo Covid che ha determinato boom di assunzioni in certi comparti (pensate alla aziende tech), al post con guerra annessa.
Soldi, che le aziende molto spesso non hanno, o ora non vogliono spendere. Ok, e allora gli altri?
Ogni tanto ci penso, piccola parentesi personale: cosa mi trattiene dove sono? Ne parlo dopo però.
Questo grafico mette a confronto i fattori che contribuiscono alla retention, alla fidelizzazione (il segno - o + è dovuto al confronto tra la percentuale europea e quella mondiale dello stesso questionario).
Qui trovate l’articolo che commenta il tutto
Ci sono parecchie cose interessanti, tra cui a quasi nessuno interessa dei leader, o comunque meno rispetto al resto del mondo.
Come era ipotizzabile, il lavoro flessibile ha un peso incredibile. Non, si, torna, più, indietro. Dovreste stamparvelo ovunque. Tatuarvelo. Pensare di tornare al prima è totalmente anacronistico. Ci sarà chi lo farà, certo. D’altra parte, i Sapiens Sapiens nella loro costante spinta genocida nei confronti degli altri uomini hanno approfittato di chi, fermo e ancorato, non è riuscito ad evolversi. Per la precisione, li hanno condannati all’estinzione.
L’altra cosa fondamentale per me è che bisogna fare un lavoro con un significato, con un senso. Questo è interessante davvero. Ok, i soldi. Ok, il lavoro flessibile. Ok, ma datemi il senso. Una visione, un progetto di insieme, un modo comune di vedere il mondo. Obiettivi forti che migliorano davvero la vita della gente.
Ci pensavo l’altro giorno.
Io uso tanti tool, sono davvero tool dipendente. Mi piacciono, mi piace tornare a “leggere” gli stessi tool per vedere come sono cambiati nel tempo.
L’altro giorno sono tornato a Todoist, che è uno di quelli che mi impallina di più.
Ci stavo pensando: lavorare per questo tipo di azienda è una roba che ha un senso. Stai letteralmente aiutando le persone a fare una roba che gli cambia la giornata. Sapere che ogni tuo task è là, ti regala sicurezza per tutte le altre attività. Ha un senso questo genere di lavoro.
Stai letteralmente mettendo su un tool semplice, che ha una serie infinita di funzionalità ma tutte a portata di mano, esteticamente fighe e soprattutto UTILI.
Ok, io sono impallinato di tool, per me sono cruciali, sono le ONG della mia memoria e della mia organizzazione. Ok, però spero di avervi trasmesso con questo come il senso sia una cosa strettamente personale, e profonda.
La percezione dell’utilità del proprio lavoro è totalmente personale, certo, ma ha a che fare molto con che cosa l’azienda comunica, come, e in che modo viene percepito.
Leggevo da qualche parte che il CEO di Ubisoft (una famosissima e longeva produttrice di videogiochi famosi) ha scritto ai suoi dipendenti – in un periodo di grossa crisi (non tirano fuori un gioco decente che non sia un altro Assassin's Creed da tempo immemore), che la palla era loro. nel loro campo. I dipendenti hanno pensato che, in qualche modo, stesso cercando di deresponsabilizzare il management e di caricare le responsabilità dei fallimenti aziendali sui dipendenti.
Curioso, no? I ricchissimi bonus dei manager sono alla loro portata quando si va bene, quando si va male invece è quasi sempre colpa degli operativi. O di nessuno. Peggio. Un problema grosso come il mondo, quello della disonestà intellettuale e dell’incapacità di crescere del management. Quasi sempre la colpa sarà di qualcun altro. Un ottimo modo per far fallire le aziende. O per farle odiare.
Ok, vi ho raccontato alcune, ma dovreste leggere questo bel confronto sul Financial Times sul futuro del lavoro nel 2023. Vi dico qualche punto focale:
Non si torna indietro sul lavoro ibrido, ma si tornerò indietro eccome su inclusività e benessere mentale. Molte cose strombazzate non verranno mai veramente attuate, e questo al netto del fatto che a nessuno più piace vedere bullismo, atteggiamenti predatori o discriminazioni sul lavoro. La sensibilità dei dipendenti aumenta, quella dei manager?
Il 2023 potrebbe essere l’anno buono per la settimana da 4 giorni. Lavorare meno è già la soluzione. Vi lascio questo libro, ma ce ne sono altri. Salva. Tutto qui. Anche a livello economico. Lo dice pure il Time.
“E così, l’ascesa di leader autocratici veramente narcisisti non sarà tollerato nello stesso modo in cui lo erano una volta. E questo potrebbe portare persone più umili e carismatiche ai vertici delle nostre aziende. Vedremo”. Amen, sorella, amen.
Infine, l’ammortizzatore di carriera. Stai già usando il tuo stipendio fisso per mettere su altre piccole imprese o progetti rischiando poco? Un tema interessante, e nuovo. Penso sia connesso alla nuova concezione di vita-lavoro post-Covid. Se non puoi il lavoro che desideri, inventalo lavorandoci in parallelo.
Infine, cosa significa un lavoro di senso compiuto, che abbia un senso e un significato per me? Tante cose: un processo ben oliato ma comunque migliorabile, ma le persone. Ecco per me il fattore umano avrà sempre un peso specifico notevole. So che difficilmente mi trovo male, e che di fronte a persone di qualità umana alta mi sento ok.
E mi sento che abbia senso quello che stiamo facendo insieme. Le persone che fanno sentire i colleghi così sono quelle da premiare. I team leader o i Director o i manager con cui è fertilizzante ed elettrizzante parlare di cosa sta succendendo, di come cambieresti le cose, beh questi sono quelli con cui mi piace lavorare. Ultimamente sto testando una roba nuova: cercare connessioni con persone che io chiamo “boccate d’ossigeno”.
Che, al netto di difficoltà, o task, o tante robe da fare, abbiano sempre qualcosa in più da dare. Sono sempre più convinto che non conti la difficoltà della partita e nemmeno del tutto il talento. Nel calcio come nel lavoro, sapere leggere la situazione con intelligenza e scarto geniale è una skill che sarà sempre più decisiva.
Buon lunedì a tutte e tutti, c’è bisogno di questo oggi.
Ah, vabbe. Vi lascio pure una poesia di Pavese, ve la meritate se siete arrivati fino a qui:
Sempre vieni dal mare
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all’urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non s’odiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose –
combatteremo sempre.
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all’urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
Qui sotto per chi mi sostiene un po’ di altre robe personali🔥
Ecco, altra cosa, sviluppo il concetto. Sapere leggere la situazione oggi per me vuol dire cogliere l’importanza di lavorare con persone in grado di arricchirti in fondo. E questo vuol dire andare oltre le barriere delle aziende.
Vuol dire costruire network estesi, nel nome di una visione comune di cosa significa contaminarsi, crescersi, sostenersi a vicenda.
Questo genere di network non ha però una mera funzione di secondo ufficio di collocamento, ma si tratta di una vera e propria rete di sostegno per me.
Curioso che questi network di supporto di solito vengano proposti da associazioni anti-suicidio, o simili.
In realtà, si tratta di forme non competitive di riconoscersi tra talenti, e sapersi apprezzare e aiutarsi a crescere.
Un po’ di articoli:
Un pezzo che spiega perché dobbiamo essere come monaci