Mental-washing 🚿
Come non possiamo coprire proprio tutto con una bella sessione di yoga aziendale
Uno su due tra gli under 34 lascia il lavoro per problemi di salute mentale. Il ritorno in ufficio per un terzo dei lavoratori intervistati da McKinsey ha intaccato negativamente la salute mentale.
E le aziende? Mindfulness, borghi in cui fare smart working, colazioni, un gran parlare di sanità mentale, attenzione al work-life balance. Corsi di qua, di là, assertività, Things etc etc, educazione emotiva.
Buongiorno a tutti, buon lunedì, questa è Coltura aziendale, e oggi parliamo di salute mentale a lavoro.
La salute mentale non dovrebbe essere roba da ricchi – come canta Marra, che qualcosa ne sa.
Tutto molto vero, leggevo un post su LinkedIn tempo fa, che non sono stato in grado di ritrovare e me ne scuso, che polemicamente osservava: le aziende stanno passando dal green-washing al mental-washing. Dalla necessità di una lustratina a valori green spesso sbandierati e poco applicati a quella di fondare il proprio sistema valoriale sui 🧠 stressati, coccolandoli e indorando la pillola con una bella sessione di yoga.
Dico una cosa subito: va tutto bene quello che si pensa per i dipendenti e le persone e i lavoratori, e non contro. Ma attenzione, primo concetto 💎: se fondi un sistema valoriale, poi devi essere in grado di rispettarlo nel profondo. Agli investor relators o ai clienti o ai partner puoi vendere belle presentazioni, ma la fuffa rimane fuffa, la verità alla fine rimane.
Mi sembra sempre più essenziale parlare di salute mentale in maniera sincera e profonda. Le sciacquature nell’Arno dello Yoga lasciamole agli altri.
Bisogna fondare una cultura della cura dei lavoratori. L’amazonificazione non sia una roba condivisa e accettata: partendo da una buona comunicazione, mettere su tanti fatti a favore di un reale dialogo sulla salute mentale sul posto di lavoro e una cultura non TOSSICA è un primo punto fondamentale. In questo articolo ci sono altri punti che ritengo interessanti, a partire dalle modalità per creare una cultura del lavoro veramente di cura:
Fai domande
Incoraggia ogni giorno i manager a parlare con i loro team apertamente
Sostieni una comunicazione VERAMENTE aperta
Rifiuta la mentalità SILO (a compartimenti stagni )
Crea una seria rete di sostegno psicologico all’interno dell’azienda.
Se volete fare un esamino su quanto sia tossico il vostro luogo di lavoro, qui qualche spunto. Molte domande sulla salute mentale, io lo vorrei dire chiaro, non ce le stiamo davvero facendo. Avrei bisogno di un supporto? Qualcuno nella mia cerchia ne ha bisogno? Sto facendo il possibile per un reale aiuto, e non un’ipocrita sverniciata esteriore?
Questa mia newsletter parte da questo articolo straziante davvero del The New Yorker sui suicidi degli adolescenti. Mi chiedo, e chiedo a voi: siamo davvero convinti che il modo in cui intendevamo il lavoro e la vita fino a 2 anni non fosse totalmente svilente, folle, meccanico, in balia di interessi, algoritmi, stress-test e un capitalismo del tutto inumano? Vogliamo davvero questo? Assistere a questo?
Questo altro pezzo di The Vision che come al solito è già tutto riassunto nel titolo apre un altro tema, su come concepiamo il lavoro, ma non voglio svicolare.
In Italia abbiamo parlato a lungo di bonus psicologo, negli USA è pieno di articoli E ORA PARLIAMO DI SALUTE MENTALE (ma fioriscono dal 2016 circa, e credo anche più indietro, con particolare vigore dopo fatti di sangue, tragicamente), la salute mentale viene perfino legata alla produttività – e ti pareva.
Forbes tira fuori alcune parole inusuali sul posto di lavoro, tra cui COMPASSIONE.
Non è una parola facile da dire sul lavoro: ci sono alcune figure tossiche o atteggiamenti distruttivi che non indurranno mai a compassione, ma la radice latina ci aiuto. Patire insieme, soffrire insieme, vivere l’altro come qualcosa che non è lontano da noi, solo un paio di lettere su uno schermo, mutato e senza telecamera.
Non credo che Alexa o le Fire TV possano risolvere qualcosa, ma un cambiamento di mindset è fondamentale. Lo iato è facile da dire: il vero te, o me, non si realizza e concretizza solo a lavoro. Anzi, si esprime nel suo massimo fuori, nelle relazioni, nei rapporti umani, nella famiglia.
Il lavoro è solo una parte, e non la più rilevante. Ci sono dei segnali che non si possono ignorare:
Cambiamento di personalità in modo apparentemente drastico
Agitazione o comportamento insolitamente arrabbiato
Ritiro dalle interazioni sociali
Scarsa igiene (abuso di sostanze o igiene fisica)
Sentimenti di disperazione
In generale, per altri consigli e pratiche rilevanti, qui ci sono cose importanti davvero.
Qui invece un elenco di cose da leggere in 🇬🇧, ma super interessanti.
La questione, sul lavoro, non è solo di stigma sociale, di questa repellenza che si ha nel parlare di disturbi mentali, di cura della propria testa e del proprio cervello, come se fosse un segreto inconfessabile e terribile. Una mentalità paesana che ci pervade ancora, nonostante molti articoli anche pop sul tema.
Una ricerca di PwC ha di recente evidenziato il "dovere morale" dei legislatori di migliorare la salute mentale dei cittadini dopo una crisi senza precedenti in tutto il mondo guidata dal distanziamento sociale, dalla perdita di posti di lavoro, dall'istruzione a domicilio e da un improvviso passaggio al lavoro a distanza.
L’85% delle persone considera il proprio benessere psicologico generale correlato al proprio benessere sul lavoro e viceversa: peccato che non sono corrisposti. La cura per il cervello non può essere lo yoga, o qualche corsetto, serve qualcosa di più vasto, complesso, strutturato. Una rete reale, non fake.
One size does not fits all, dicono qui, in un articolo del Sole 24 Ore che parla di un orizzonte chiaro, quello di una migliore qualità del lavoro.
Vi porto questo pezzo 💎 del New York Times che mi ha fatto molto riflettere. Bisognerebbe spostare lo stress dall’amigdala alla corteccia prefrontale. Cioè, dalle emozioni e paure alla parte più razionale, innescando un processo di presa di coscienza profonda della situazione. Come farlo? Serve un supporto. O almeno, bisogna prendere tutto questo sul serio.
Peccato che la mentalità imprenditoriale sia spesso strategicamente inadeguata, gli investimenti in mental health quasi inesistenti, naufragano tantissimi progetti di cui ci sarebbe davvero bisogno. E poi, dal basso: tutti possono fare rete, senza deresponsabilizzarsi troppo e delegare.
Non voglio dilungarmi, ma faccio un rapido recap di quello che ci siamo detti:
la salute mentale non sia una ripulita di facciata, ma una ristrutturazione profonda dei sistemi aziendali
non smettiamo mai di chiederci se stiamo funzionando, se siamo felici, se qualcosa non ci torna. Anche una domanda può farci rendere conto di come stiamo veramente
La domanda, per inciso: sto per attaccare a lavoro, sono felice?
I manager non devono essere miopi, i dipendenti egoisti
Poi dovremmo chiederci: oggi, cos’è la mia felicità? Cosa mi fa felice? Come si intreccia col mio lavoro, e perché?
Mi sembra un buon carico di domande per questo lunedì, ci scriviamo le risposte per il prossimo ❤️🔥