La produttività è una truffa 🤨
Come tutti i metodi che ci hanno sempre insegnato sono solo maschere manageriali che non funzionano per tutti, ma fanno sentire tutti inadeguati
Buongiorno a tutte e tutti, a chi si è alzato che non gli va, a chi è sui mezzi pubblici o si sta rigirando un robusto caffè, zombeggiando in giro per casa.
Oggi vi parleranno tutti di salute mentale: è la Giornata Mondiale della Salute mentale, e Dio solo sa quanto serve parlarne. Come quasi tutte le cose che si onorano solo una volta all’anno, anche questo giorno avrebbe bisogno di qualche replay nel calendario.
E avrebbe bisogno di qualche consapevolezza in più, e stigmatizzazione di meno. Ma tant’è, almeno per oggi ne sentirerete parlare.
Noi ne abbiamo già parlato insieme già nella puntata sul Mentale Washing qui e qui in quella subito dopo, qui, in cui parliamo di Soluzioni Mentali.
Ci sarebbero da dire molte cose, ma in generale è un tema a cui tengo molto. Come ci tengo a sottolinearvi come il concetto di produttività come ce l’hanno sempre propinato, evangelizzato, sta finendo male, ed è un bene per tutti noi.
In generale, la managerializzazione della vita lavorativa – “siamo tutti manager”, con l’evoluzione “siamo tutti imprenditori” – ha fatto calare dall’alto i modelli di produttività, dal Getting Things Done agli altri che avrete sentito nominare, che sono pensati per i manager, e applicati al resto della forza lavoro con uguale forza persuasiva.
Il Covid ha minato alle fondamenta il concetto stesso di produttività: di fatto ha smascherato la vacuità delle nostre giornate in ufficio, le ore buttate, il traffico, l’abitudinaria follia e lo spreco sistematico del tempo (pensate solo il tragitto casa-lavoro) a cui più o meno volontariamente ci siamo abituati, forzati, spremuti.
Oggi voglio partire da questo pezzo di Vox.com → Is this the end of productivity?, che spiega e racconta come il sistematico reiterarsi di molte abitudini malsane e tossiche è crollato con la pandemia. Lo do per scontato, ma meglio dirlo: la produttività è sbagliata? No. Lavorare bene e con profitto e perfino con zelo è sbagliato? No.
Amare il proprio lavoro è una retorica vecchia, trita, insopportabile. Ecco il fulcro della questione. Che non solo sminuisce il concetto stesso di amore – LE PAROLE SONO IMPORTANTI – ma alla fine la gente ha finito per crederci.
C’è una cosa dell’amore che dovremmo sapere tutti. Si tratta di una roba assoluta, radicale, totalmente fuori controllo rispetto ai nostri parametri, alla razionalità. Capirete perché la contaminazione con il concetto di lavoro ha generato mostri. Vabbè, non Daniel Craig:
Ha generato letteralmente tanti di quei problemi di cui oggi vi parleranno. Li accompagna, li nutre, se non li crea proprio. Se non si esplora questo contesto, si possono offrire e proporre tutti gli psicologi sul lavoro – cosa, ripeto, meritevole e stra-giusta – ma si manca il bersaglio.
Senza andare nel dettaglio, per gli antichi greci il lavoro manuale era disprezzabile, ma in generale, con Aristotele e la sua dottrina delle cause, veniva considerato apprezzabile purché praticato con consapevolezza, curiosità, conoscenza delle cause e degli effetti. Consapevolezza: quante delle nostre giornate assomigliano ad una catena di montaggio, o rischiano di essere tutte uguali senza consapevolezza di quello che si sta facendo, del quadro generale, e in generale delle proprie necessità? Cito da un pezzo che non ritrovo di una tesi di laurea:
Tuttavia l’obbligo del lavoro non è visto sempre e solamente come un castigo, o come una malvagità imperscrutabile: per Virgilio, ad esempio, mediante il lavoro l’uomo può sviluppare e migliorare le proprie capacità, che altrimenti, mai sollecitate, intorpidirebbero e verrebbero meno. Virgilio usa proprio il verbo torpere (gravi torpere veterno v. 124); afferma che il lavoro è improbus, ma vincit omnia (146); l’egestas spinge gli uomini a vincere la natura stessa, inventando adeguati strumenti
La cultura cristiana replica: in ambito comunitario chi non lavora neppure mangi. Il lavoro non dunque come amore ma come dignità, approfondimento, conoscenza di qualità e talento. La produttività è un concetto molto posteriore, che invade ambiti della vita inaspettati, come ad esempio il gaming.
Is this the end of productivity?Non è questione di non lavorare o non appassionarsi, ma questione di saper dividere, saper scegliere, saper discernere. Dividere il necessario dal resto.
Il confine è sottile tra usare tool di produttività e sentirsi inadeguati e fallimentari se non si raggiungono gli obiettivi, se le cose non getting done.
Non solo: il mito della produttività produce disallineamento, incapacità di focalizzarsi sulle relazioni e sulle cose che contano. Fateci caso: se leggete del burnout, leggerete anche articoli come questo di Wired dal titolo indicativo → The Unlikely Cure for Burnout? A Second Job. Non so se sia una risposta corretta (anche qui, si mescola passione e secondo lavoro, cosa che ho fatto per tutta la vita, senza risultati apprezzabile lato salute mentale), di certo è indicativo di un trend. Se soffri per il lavoro, lavora di più. Chiudo con un articolo di cui ho paura→ Are You the Same Person You Used to Be?
Ho paura di questo articolo. Parte dall'idea che di noi a 4 anni non ricordiamo niente. Ora vi sembrerà drammatico, o patetico, o fatalista, ma ho paura che, nell'ultimo secondo, o nelle ultime ore, non ricorderò nulla se non uffici, laptop, colleghi col caffè e biliardini. Non i miei figli, ma la mia to-do-list.
Non mia moglie, o una bella vacanza, o una gita piena di meraviglie architettoniche, ma io che cerco nello zaino il caricatore del computer, o che infilo 50 centesimi nella solita macchinetta del caffè. La cura per uscire dalla trappola della produttività, se lo è per te, e per me, non sta nel nuovo tool – e sapete quanto li amo – o nella musica bianca con il mare di sottofondo che usiamo per dormire, o nelle fusa di un gatto (forse sì, nelle fusa sì).
Probabilmente bisogna fare uno sforzo, lo sforzo che nessuno ha voglia di fare: re-inventare i soliti steccati, allargare il campo, spingersi ad immaginarsi una vita diversa, una concezione della vita diversa, più a fondo, più forte. E lo dico scrivendo una newsletter (un quindicesimo hobby), in una domenica di sole romano, con i bimbi che giocano di là con mia moglie. Per questo la finisco, e vi auguro una bellissima giornata di campo largo.
p.s. L’immagine di copertina è generato con craiyon.com, e rappresenta un uomo che gioca in ufficio. O dovrebbe farlo, ma l’intelligenza artificiale lo ha fuso con la sua sedia. Ne capisce, eh?
People have strong, divergent opinions about the continuity of their own selves