La cultura dell'ufficio fa nostalgia 🪴
Canaglia, peraltro. Ma se ne parla ancora, di come tornare in ufficio tenti molti manager, che forse in generale non hanno grandi idee
Ciao buongiorno a tutte e tutti,
di fronte a questo caffè del primo lunedì di marzo in questa puntata di Coltura aziendale dobbiamo tornare su un tema di cui un po’ abbiamo parlato su queste allegre frequenze: la cultura dell’ufficio. Voglio partire da una nota storica, da questo interessante pezzo:
Negli anni ’80, il professore del MIT Thomas Allen concludeva le sue ricerche, postulando che la maggior parte della collaborazione sul posto di lavoro avviene entro un raggio di otto metri da un individuo e si riduce quasi a zero oltre la distanza di 50 metri.
La "curva di Allen" è rimasta valida anche dopo l'introduzione della posta elettronica, poiché i dipendenti hanno continuato a scambiare più frequentemente messaggi con i colleghi a loro più vicini in ufficio. Sembra che la prossimità possa essere il motore della collaborazione, dei rapporti di lavoro e di un senso di appartenenza condiviso.
In termini culturali, questi sono chiamati legami forti. Questi legami vengono rafforzati attraverso il tempo trascorso in un ufficio fisico dove la progettazione dell’ambiente incarna la cultura e il marchio dell’organizzazione. D’altra parte, gli anelli deboli sono connessioni e legami che non seguono la normale gerarchia organizzativa.
Breve contesto ulteriore: il Covid ha lasciato alcuni strascichi sociali e culturali, uno su tutti, ci ha insegnato che non è proprio del tutto necessario starsene ad ammuffire 8 ore tra le stesse mura, con le stesse persone, facendo le stesse cose.
Ci ha sradicato, ci ha portato in altri luoghi, ci ha insegnato nuove flessibilità , abitudini di vita, schemi mentali.
Poi, piano piano, ci hanno richiamato in ufficio.
Nella mia azienda vige grande flessibilità , ma in generale il resto del mondo del lavoro ci ha provato, e ha volte ci è pure riuscito, a far tornare le persone negli immensi, costosissimi open space.
C’è gente che ha proprio bisogno di sentire il sudore, l’odore dei pranzi portati da casa. C’è gente che, in fondo, è sempre stata in un ufficio. Non sa manco bene che alternativa dare.
Dall’altra parte, la GEN Z, i ragazzetti, ma non solo, non hanno vissuto niente, dal punto di vista lavorativo, che sia stato pre-pandemico. E non è detto che gli interessi.
L’ufficio come luogo perenne di lavoro è finito? Quella specie di incubatrice sociale, dove venivamo nutriti con la manna delle retoriche aziendali e riscaldati dal teporino dei sorrisi dei colleghi e del biliardino è out?
La BBC in settimana ha lanciato un articolo dal titolo eloquente: 'Office culture' as we know it is dead. Workers have other ideas’.
Vi incollo un pezzo spassoso:
“Non ho mai conosciuto una cultura d'ufficio che non fosse remota", dice Jamie Masterson, 24 anni, specialista di marketing digitale, entrato nella forza lavoro statunitense nel 2021, nel pieno della pandemia di Covid-19. "Ho sentito parlare delle famigerate attività 'divertenti' in ufficio - aree break per i tempi morti, tavoli da ping-pong, ecc. E non credo di esserne mai stato incuriosito".
Si chiude con questa frase: tutti noi dobbiamo sopravvivere. I licenziamenti di massa continuano, in molti settori, la percezione di sicurezza del lavoro si è sgretolata: dobbiamo sopravvivere. E per sopravvivere più che l’ufficio ci serve la comunità che nell’ufficio poteva formarsi. A volte.
Le persone servono, non le 4 mura.
Il problema non credo siano le 4 mura, o gli aperitivi.
Il periodo pandemico ha accelerato una deriva sociale già in atto: la radicalizzazione della solitudine.
Le dissoluzioni dei legami sociali creano un consumatore solo, in balia di impulsi incontrollabili, di click, acquisti compulsivi, idee monotematiche confortate di continuo da altre persone con idee simili.
I tentativi di creare un mondo globale sono lodevoli, ma cozzano con le reali conseguenze di un mondo di solitari.
Qui un pezzo illuminante del New Yorker su questo tema.
Il lavoro flessibile e ibrido, o totalmente remote, permette a persone lontanissime di vedersi e lavorare insieme, ma non di creare reali relazioni.
Il problema che ci dovremmo porre è: fuori dal lavoro, le abbiamo queste reali relazioni tali da giustificare il termine WORK LIFE BALANCE? 🔑
O, annullate quelle sul lavoro, in realtà ci rendiamo conto che tocchiamo più un oggetto, un pc per lavorare da remoto per dire, o le cuffie per i meeting, delle persone che dovremmo frequentare?
Serve un people-life balance. E trovare comunità di persone con cui esprimersi, crescere, migliorare. La gente come valore, non come generico generatore di ignoranze incrociate.
Come dice un articolo di The Forbes di un paio di giorni fa, parlando del mercato del lavoro US:
Lavorare in aree metropolitane, come New York o San Francisco, è sempre stata un'esperienza emozionante. I dipendenti accettavano il lavoro ingrato delle grandi città perché amavano la possibilità di godere di impegni sociali dopo il lavoro con i colleghi. Ci sarebbero state gite nei bar e ristoranti locali, la partecipazione a concerti ed eventi sportivi. Tuttavia, le interazioni quotidiane di persona e la socializzazione dopo il lavoro stanno rapidamente diventando cose del passato.
La spirale è discendente:
Di conseguenza, le aziende sono meno incentivate a investire nella creazione di una meravigliosa esperienza d’ufficio con meno persone che entrano in ufficio, provocando una spirale discendente. Dato che i colleghi con cui devi collaborare non sono presenti, ti arrabbierai per aver passato due o tre ore a fare il pendolare, spendendo un sacco di soldi per cibo e trasporti, preoccupato per la tua sicurezza, solo per sederti da solo in un ufficio , inviando e-mail e partecipando a videochiamate tutto il giorno.
Questa è un’esperienza che avrete fatto: una collega me lo diceva qualche tempo fa. I meeting in presenza sono difficili, e stare in una saletta chiusa tutto il tempo, da sola, a fare call, con pochi colleghi presenti oltre quelle mura, non vale 2 ore di macchina.
Non le si può dare torto.
C’è anche una parte propositiva:
I datori di lavoro possono offrire indennità per il pendolarismo e garantire flessibilità ai genitori che devono andare a prendere e riportare i propri figli a scuola. L’assistenza all’infanzia alleggerirebbe il carico dei genitori che lavorano.
Per garantire la sicurezza dei dipendenti, le aziende dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di trasferirsi in luoghi che abbiano un costo della vita inferiore, meno tasse e tassi di criminalità ridotti.
Per ricreare i legami forti, servono scenari ed idee nuove, che non siano la prossimità entro 8 metri di Allen.
Sapete come è organizzata Spotify?
Spotify, ad esempio, è composto da "squadre", "tribù", "capitoli" e "gilde". Le squadre sono squadre interfunzionali. Le tribù sono composte da lavoratori in un'area correlata dell'azienda. I capitoli contengono persone con ruoli simili con aree di competenza condivise, mentre le gilde sono "comunità di interesse" aperte a chiunque.
Quello che serve è contaminazione, e evoluzione degli uffici:
La cura strategica dello spazio, favorendo la collaborazione interculturale e riunendo tipologie complementari, forma micro-comunità che espandono le opportunità per gli anelli deboli quando i luoghi di lavoro principali sono ubicati all’interno dello stesso edificio. La creazione di un ambiente fisico agile che promuova i collegamenti deboli consente l’emergere di nuove forme di innovazione e aumenta la nostra comprensione di nuovi problemi e consente soluzioni.
Su Reddit, un noto sito di piccole comunità sociali che forumeggiano parlando di tutto, ho trovato queste due descrizioni piuttosto nette di come NON dovrebbero essere gli uffici:
Alla fine, quello che conta è con chi, non dove. E come migliorare questo CON.
Buona giornata, magari da casa 🛖
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