Il cambiamento più oltre i vostri ✂️
Dal quiet cutting, a come supportare chi lavora e fa caregiving, insomma siamo tornati.
Ciao a tutte e tutti,
sono Luca Capriotti e questa è Coltura aziendale, l’unica newsletter sul mondo del lavoro che è tornata dalle ferie dopo di me. Pazzesca.
🔥Avviso importante: ho cambiato logo di Coltura aziendale, l’ultimo mi sembrava mezzo strano. Questo è letteralmente nomen omen, il nome. Più semplice di così. A volte le cose semplici sono migliori. Degli sgorbi fatti da me su Canva. Fine dell’avviso importante.
Per una volta, andremo dietro alle maggiori testate nazionali nostrane e non le anticiperemo. Giusto partire con una fanfaronata.
Ovvero: parliamo di quiet cutting, la soave risposta delle aziende al quiet quitting. Vi riassumo un articolo del Wall Street Journal, grazie al sapiente uso di Google Bard, per ora mio fedele e scanzonato e devo dire discretamente cazzar# amico AI. Mi fido sempre di Google, nonostante le sòle che periodicamente mi dona. Vabbè.
Riassunto dell'articolo "You've Heard of Quiet Quitting. Now Companies Are Quiet Cutting" (Bard sui titoli è così, un po’ didascalico)
Il fenomeno del "quiet quitting" è in aumento: si tratta di dipendenti che non si dimettono formalmente, ma smettono di impegnarsi al lavoro, svolgendo solo le mansioni strettamente necessarie. (Vabè, giusto ripetere, però di questo abbiamo già parlato qui, con qualche scetticismo condiviso da The Atlantic) .
Le aziende stanno rispondendo a questo fenomeno con il "quiet cutting": si tratta di licenziamenti non annunciati, che vengono effettuati in modo graduale e discreto. (Discreto, mi uccide. In pratica l’articolo spiega che spostano la gente, propongono trasferimenti improponibili o veri e propri cimiteri degli elefanti (leggenda metropolitana, gli elefanti non vanno a morire soli, lo dice questo articolo illuminante), team che si sa che finirano male. Bard, molto pudico qui eh.
I motivi del "quiet quitting" sono molteplici: possono includere la mancanza di soddisfazione lavorativa, la ricerca di nuove opportunità o semplicemente la voglia di cambiare vita.
I motivi del "quiet cutting" sono simili a quelli del "quiet quitting": le aziende possono essere costrette a ridurre i costi o possono semplicemente volersi sbarazzare di dipendenti che non sono più produttivi.
Ecco alcuni punti specifici dell'articolo:
Secondo un sondaggio di Gartner, il 68% dei lavoratori statunitensi sta pensando di cambiare lavoro.
Il "quiet cutting" è un fenomeno che si sta diffondendo in tutti i settori dell'economia.
Le aziende che adottano il "quiet cutting" spesso lo fanno per evitare di dover pagare i costi di licenziamento (qui il pudore di Bard viene meno).
Conclusione: (evabbè si capiva pure qui pedantissimo Bard).
Il fenomeno del "quiet quitting" e del "quiet cutting" è un segnale del cambiamento che sta avvenendo nel mondo del lavoro. I dipendenti sono sempre più esigenti e le aziende sono sempre più costrette a competere per attirare e trattenere i talenti.
Il finale se lo è inventato di brutto, non dice questo ma ok. Di fatto non è detto che sia dunque un licenziamento per vie lunghe, a volte è anche un modo per salvare posti di lavoro, dopo ondate di licenziamenti pesanti, specialmente negli Usa.
Cosa piuttosto rilevante: è un sistema vecchio come il cucco, lo potete chiamare quiet cutting, ma alla fine è un bel modo per l’azienda di non licenziare, per tanti motivi validi. Vale la pena e giova sicuramente ricordare che tutto si basa su un sistema di percepire, calcolare e conteggiare la produttività del tutto ottecentesco.
Sempre più si dovrà andare non solo a colpire i lower performer, ma principalmente i lower simpatici, i lower svegli, e soprattutto i lower flessibili. La flessibilità è tutto, diceva un prete ad un matrimonio qualche tempo fa. Regola aurea per il matrimonio ma pure per il lavoro.
1 tool + tips 💎
Ok, in questa nuova rubrica approfondiremo, anche per più puntate di seguito, un tool. Cominciamo con uno dei miei must, i miei colleghi e le mie colleghe lo sanno, lo consiglio a la qualunque. Sì, purtroppo non siete speciali se ve l’ho consigliato. Vi fa male, ma crescerete tanto sapendolo.
Todoist è il mio tool preferito dopo altri 3-4 che poi vi dirò. Banalmente, fa quello che deve fare, però meglio. Si tratta di un task manager: tu metti il task, e quando devi completarlo. Ok, fino a qui tutto bene. A parte la grafica accattivante, con un account Pro si possono pure inserire promemoria, creare progetti etc etc. E ha un blog molto figo lato produttività, con molte chicche come il metodo Sistemista. Che possiamo sintetizzare così:
1. Crea un sistema per ogni area della tua vita.
Il metodo Systemist si basa sulla creazione di un sistema per ogni area della tua vita, che può essere il lavoro, la casa, la famiglia, la salute, la finanza, ecc. Un sistema è un insieme di regole e procedure che ti aiutano a raggiungere i tuoi obiettivi.
2. Automatizza il più possibile le tue attività.
Una volta che hai creato un sistema, il passo successivo è automatizzarlo il più possibile. Questo ti permetterà di risparmiare tempo e di concentrarti sulle attività più importanti.
3. Monitora e fai dei cambiamenti.
Non dimenticare di monitorare i tuoi sistemi e di fare dei cambiamenti se necessario. Questo ti permetterà di migliorare la tua produttività nel tempo.
1 articolo di The Atlantic ❤️🔥
THE OTHER WORK REMOTE WORKERS GET DONE
Altra rubrica della stagione 2023-24: siccome mi sono fatto l’abbonamento a questa simpatica rivista americana, mi sembra giusto condividere con voi qualche chicca sul mondo del lavoro.
Allora, qui il tema è piuttosto caldo. Fa un po’ il paio col tema del quiet cutting: molte aziende stanno richiamando le persone sul posto di lavoro, in ufficio. Lo ha fatto perfino la piattaforma di videoconferenze Zoom, tanto usata in tempi di Covid. E questo ha ovviamente provocato grossi sghignazzamenti sui nostri giornaloni, evabbè, siamo così, sempre pronti alle risatacce da taverna.
In realtà, ben due studi distinti, di cui il primo in India, attestano un calo di produttività rispettivamente del 18% e del 10% dopo l’avvio del lavoro da remoto. Da remoto, specifico, non ibrido.
L’articolo racconta la storia di Vigil, che lavora in azienda tech e da remoto riesce a prendersi cura di suo figlio autistico. E sottolinea un tema: questo genere di lavoro di caregiving non solo ovviamente non è facilitato dal ritorno in presenza, ma mai computato in nessun indicatore, PIL compreso. Anche qui, tutto molto ottocentesco, cito dal pezzo:
Il modo in cui misuriamo l'economia (o la misuriamo male) influenza inevitabilmente l'elaborazione delle politiche. "Ciò che misuriamo riflette ciò che valorizziamo e plasma ciò che facciamo", hanno scritto Smith e la sua coautrice Nancy Folbre in un articolo del 2020 sull'argomento. L'omissione di così tanto lavoro domestico dagli indicatori economici fa sì che le politiche che supportano la cura dei familiari sembrino cattivi investimenti. Sia il latte materno che la formula sono fonti di nutrizione adeguate per i neonati, ma solo quest'ultima ha un valore economico in termini di PIL. Se un'espansione della parental leave consentisse a più neomamme di allattare i propri figli più a lungo, l'economia ne "soffrirebbe" di conseguenza. Un'analoga inclinazione della bilancia sembra essere in atto nel dibattito sul lavoro da remoto: il lavoro che la pratica sta presumibilmente ostacolando sta oscurando il lavoro che essa consente.
In altre parole, il modo in cui valutiamo l'economia non tiene conto del lavoro non retribuito che le persone fanno, come la cura dei familiari. Questo fa sì che le politiche che supportano la cura dei familiari, come la parental leave, sembrino meno importanti di quanto non siano in realtà. Allo stesso modo, il lavoro da remoto può consentire ai caregiver di gestire un carico di lavoro più grande, ma questo non viene sempre tenuto conto quando si valuta la produttività.
Le novità in Italia 🇮🇹
In Italia si parla tantissimo di sicurezza sul lavoro, dopo il bruttissimo incidente (leggi, omicidio) capitato sulla tratta ferroviaria a Brandizzo in provincia di Torino, detto strage di Brandizzo perlopiù sui siti in giro. O meglio, di come i grandi cantieri in arrivo, e in generale i molti subappalti intaccano sempre più la sicurezza sul lavoro.
Un tema cruciale, che comunque, ricorderete, non ci ha impedito di andare a giocare i Mondiali in Qatar, dentro stadi costruiti in tempi record grazie allo sfruttamento e alla morte di centinaia di operai immigrati. La sensibilità su questo tema è minima, se ne parla poco e male, chissà come mai. L’unica sicurezza che sembra davvero interessare è la cybersicurezza, ed è tutto dire.
Dall’estero
Un articolo molto figo di Vox su come schedulare meeting dopo le 16 è una roba criminale. Ma tanto lo sapevamo. I miei orari spreferiti: tra le 8 e le 10. Tra le 13 e le 15. Cito una roba decisiva per me:
"Può darsi che la mattina sia il momento più magico per i figli, per andare a scuola, e che il pomeriggio sia buono", ha detto Debbie Lovich, managing director e senior partner del Boston Consulting Group.
"Il punto è che i manager dovrebbero organizzare conversazioni con i loro team su quando, dove e come viene svolto il lavoro", ha aggiunto. "Questo non è un aspetto di cui i manager avevano bisogno prima d'ora".
Chiudiamo questa newsletter di ritorno dall’estate con una piccola richiesta fatta a Bard: un consiglio su come iniziare bene la giornata.
Crea un obiettivo per la giornata. Avere un obiettivo per la giornata ti darà qualcosa a cui mirare e ti aiuterà a sentirti più produttivo. L'obiettivo può essere qualcosa di grande, come finire un progetto importante, o qualcosa di piccolo, come fare esercizio fisico o leggere un libro.
Quando crei un obiettivo, assicurati che sia specifico, misurabile, raggiungibile, rilevante e limitato nel tempo. Ad esempio, invece di dire "Voglio essere più produttivo", potresti dire "Voglio finire il mio progetto entro la fine della settimana".
Iniziare la giornata con una routine positiva e un obiettivo ti aiuterà a sentirti bene e motivato.
Vabè. Poteva andarci meglio, ma pure peggio. Buona giornata a tutte e tutti! Buon lunedì con un obiettivo.
p.s.
il titolo di questa newsletter viene da questa poesia di Walt Whitman:
Il cambiamento più oltre, dal nostro
mondo passando a quello di esseri
che in altre sfere camminano.
Ciaoooo
Ecco una lista di articoli da leggere di The Atlantic sul mondo del lavoro:
"The Future of Work Is Not What You Think" di Derek Thompson (2023)
"The Quiet Revolution in Work" di David Brooks (2022)
"The Case for a 15-Hour Workweek" di Anne Helen Petersen (2021)
"The Great Resignation Is a Warning Sign" di Olga Khazan (2021)
"The Rise of the Gig Economy" di Emily Badger (2016)
Questi articoli esplorano una serie di temi legati al mondo del lavoro, tra cui:
Il futuro del lavoro in un mondo sempre più automatizzato
La tendenza al lavoro flessibile e al lavoro da remoto
Le sfide e le opportunità del lavoro gig
L'impatto della pandemia sul mondo del lavoro
Ecco un breve riassunto di ciascuno degli articoli:
The Future of Work Is Not What You Think di Derek Thompson sostiene che il futuro del lavoro non sarà caratterizzato da un'automazione totale, ma da un cambiamento nelle competenze richieste ai lavoratori. I lavoratori del futuro dovranno essere in grado di pensare criticamente, risolvere problemi e adattarsi al cambiamento.
The Quiet Revolution in Work di David Brooks sostiene che il mondo del lavoro sta attraversando una rivoluzione silenziosa, guidata da una nuova generazione di lavoratori che dà più valore alla flessibilità, alla cultura aziendale e al significato del lavoro.
The Case for a 15-Hour Workweek di Anne Helen Petersen sostiene che una settimana lavorativa di 15 ore sarebbe più produttiva e salutare per i lavoratori. Petersen sostiene che i lavoratori sarebbero più concentrati e motivati se avessero più tempo per se stessi e le loro famiglie.
The Great Resignation Is a Warning Sign di Olga Khazan sostiene che la Grande Dimissione è un segnale di malcontento tra i lavoratori. Khazan sostiene che i lavoratori sono stanchi di lavori malpagati, con orari lunghi e scarse opportunità di crescita.
The Rise of the Gig Economy di Emily Badger esplora la crescita del lavoro gig, ovvero il lavoro autonomo o freelance. Badger sostiene che il lavoro gig offre ai lavoratori una maggiore flessibilità e controllo, ma che presenta anche dei rischi, come la mancanza di sicurezza sociale e la scarsa protezione dei lavoratori.