La partita dei 💎
Sono tantissime le aziende e i manager che cercano di ovviare alla mobilità lavorativa con le "stay-interview". Cosa sono, e perché dovrebbero diventare la normalità
La partita dei 💎 ( o talenti, o guerra dei talenti, espressione coniata dal trio McKinsey nel 1997) è appena iniziata, per davvero. Nuovo contesto, nuovo tempo di gioco.
Se la strategia di medio-lungo termine delle aziende è veramente orientata al lavoro ibrido (lo dicono molti degli stessi manager, in una survey di PWC)- o addirittura fully-remote - ne abbiamo già parlato in questa puntata di Coltura aziendale - allora va rivista l’intera galassia lavorativa, dagli uffici alle relazioni, passando per i valori e il team building. O meglio, va tutto adattato e rivisto nell’ottica del nuovo contesto.
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Un accenno che avevamo fatto: negli Stati Uniti hanno trovato un modo per cercare di intercettare i bisogni, le frustrazioni e in particolare i segnali di burnout dei dipendenti.
Le chiamano “stay-interview”, i colloqui per rimanere. Ci sono sempre state, a dire il vero, ma stanno rientrando al centro delle strategie aziendali.
Primo distinguo: non sono exit-interview. Quelle le aziende più strutturate le fanno a chi già si è dimesso, per capire cosa sia andato storto. Altra roba, molto dopo nella piramide rovesciata che arriva fino alle dimissioni. Direi anzi che sono proprio l’opposto.
Questo recruiter di Google direi che sintetizza piuttosto bene su LinkedIn:
Le grandi aziende fanno rimanere i dipendenti. Aggiungo io: quelli che riescono a trattenere. Sottolineo: quelli per cui vale la pena.
Un mero calcolo economico in realtà sottolinea come qualsiasi dipendente senior che va via provoca una perdita di denaro cospicua per l’azienda, roba di migliaia di 💶.
Pensateci: bisogna avviare un nuovo processo, formare una persona da capo o quasi - perfino un senior in sostituzione avrà bisogno dei suoi normali tempi di assestamento - perdere mesi in formazione, errori, problemi piccoli e grandi.
Tutto per una lettera di dimissioni di troppo. L’avresti potuta evitare? E come?
La domanda è decisiva anche per me: credo profondamente che tutte le dimissioni di persone veramente valide vadano evitate. A qualsiasi costo.
Ne parlavo con un imprenditore che stimo molto, e mi rispondeva: levati dalla testa che sia possibile evitare TUTTE le dimissioni di persone valide.
Ci sono troppi fattori in gioco: da quelli banalmente personali, al nuovo contesto, alle dinamiche mentali di ciascuno. Non si può intercettare sempre TUTTO, e neanche si dovrebbe volere, pena diventare una specie di maniaco del controllo.
In questo, nelle aziende più strutturate, una funzione fondamentale ce l’hanno ovviamente gli o le HR. Che, se da un lato avranno l’onere di essere sempre più “heartseeker”, cercatori di cuori, di PERSONE non nice, ma brave (poi torneremo sulla differenza), dall’altro lato dovranno fare in modo di farle restare in azienda.
La parola d’ordine sarà sempre più Retention. Ogni azienda dovrebbe fare attenzione proprio a questo: come trattengo i talenti?
Ok, incoraggiare il work-life balance, ok i biliardini, le pizze, le chiacchierate davanti ad un caffè. Quello che serve sempre di più è in realtà una culture of recognition. Una specie di sonar permanente.
Capire i segnali, intercettare gli umori, non dare per scontato. Impegnarsi in prima persona.
E avere dipendenti a cui REALMENTE importi degli altri talenti, che vogliano e pretendano che siano trattenuti, che abbiano davvero voglia di lavorare in un contesto geniale.
Anche la retention in fondo è un lavoro di squadra.
Se il turnover aziendale viene visto come endemico, una piaga che diventa normalità, c’è già una sconfitta aziendale in atto.
Per questo motivo servono sempre più dipendenti bravi, schietti, con valori, non carucci🪨. Questo articolo l'ho trovato 🚀 sul tema.
Non persone che ti rispondono solo in maniera cortese (implicito: che dicono quello che vuoi sentire) ma persone - e manager - in grado di agire con trasparenza e mettere a fuoco quello che non vedi.
Anche i tuoi limiti. Gli errori.
In un processo di costruzione di un contesto lavorativo sano (non sto parlando dei polemici per antonomasia, ovviamente), la capacità di discernere, analizzare, pensare strategico e dirsi le cose in maniera trasparente è cruciale.
Ma torniamo a noi, come si struttura una “stay interview?”
Diciamo un po' meglio di così, anche se il consiglio rimane valido, “don't be an idiot” potrebbe essere sempre una valida base di partenza:
Richard P. Finnegan, il CEO di C-Suite Analytics, ci ha scritto due libri, “The Stay Interview” e “The Power Of Stay Interviews For Engagement And Retention”. In questo articolo mette in fila una serie di caratteristiche importanti:
È il leader - o un manager di livello più alto del proprio responsabile diretto - che conduce il colloquio al posto del responsabile delle risorse umane, che incontreresti in un colloquio di dimissioni.
La discussione è incentrata sull'esperienza lavorativa di un dipendente e non sulle sue prestazioni, il che guida il punto successivo.
Il colloquio-stay è rivolto a tutti i dipendenti, non solo ai top performer.
Il colloquio dovrebbe svolgersi faccia a faccia, se possibile.
Mila Singh, una talent specialist di New York, sottolinea come ci “vogliano dai 6-9 mesi di stipendio per sostituire un dimissionario”😭.
Sempre il buon Finnegan spiega come, con le stay-interview svolte in maniera organica e divenute tessuto culturale aziendale, si evita almeno il 30% del turnover.
Nella routine del manager, pianificare al momento giusto una stay interview dovrebbe essere una priorità.
Nella sua newsletter “Fai spazio con Debora” (che vi consiglio davvero) Debora Montoli racconta la daily routine di Benjamin Franklin, descritta nella sua autobiografia. Si chiedeva: cosa dovrei fare di buono oggi?
Parafrasando: cosa posso fare di buono oggi per rimanere/fare rimanere qualcuno?⏰
Le stay-interview non hanno nulla a che vedere con le performance review, vale la pena sottolinearlo di nuovo. Dovrebbero essere svolte almeno 2 volte l’anno, ma nelle piccole aziende forse varrebbe la pena svolgerle in maniera trimestrale: sono le più permeabili, per tanti motivi, alla fuga dei talenti. E quelle che possono soffrirle di più, a tanti livelli.💣
La stay-interview ha un pregio su tutti: permette di costruire una cultura della fiducia 💍
Specialmente se quello che viene detto poi viene rigorosamente rispettato, nei limiti della fattibilità, si intende, allora si crea un legame robusto, serio. Non una semplice stima lavorativa.
Una piccola bozza di come potrebbe essere una stay-interview - sempre secondo Finnegan, ma in realtà potremmo usarla come termometro della nostra vita lavorativa:
Cosa ti aspetti ogni giorno quando vai al lavoro?
Cosa stai imparando sul lavoro?
Perché scegli di restare qui?
Quando è stata l'ultima volta che hai pensato di lasciare l'azienda?
Cosa posso fare per migliorare la tua esperienza di lavoro?
Pensateci. Come rispondereste a queste domande voi, oggi?
Lato dipendenti, le stay-interview sono sempre e comunque un buon segnale di attenzione. Se i 1 to 1 con i propri responsabili sono di certo un ottimo modo per organizzare il lavoro, esprimere perplessità o semplicemente bearsi di qualche successo, salire di livello - pur con un buon margine di informalità - fino ad una stay-interview va percepita e intesa e vissuta come un reale segnale di interesse🔍.
Lato dipendente: le stay-interview vanno preparate, meglio segnarsi una serie di punti (in generale, è una buona prassi per qualsiasi riunione o meeting, a dire il vero).
In questo articolo di Buzzfeed ci sono un po’ di consigli per i dipendenti che devono sostenerle.
Le stay-interview sono un momento per rinegozionare il proprio stipendio? Non proprio: in realtà sarebbe ideale semmai esprimere desideri o volontà. Può essere un ottimo modo per avviare una nuova trattativa o una fase di aumento di stipendio o ridefinizione dei ruoli.
Per i manager, anche eventuali trattative non devono essere viste con fastidio: potrebbero rappresentare un ottimo modo per conoscere come va il mercato, in caso ad esempio di offerte di altre aziende💥.
Le stay interview non vanno ridotte ad una mera serie di richieste, magari pure piuttosto stringenti.
Poi che un ultimatum, sono una seria e proficua e stimolante chiacchierata.
Una cosa che vale la pena sottolineare, il primo punto di questo pezzo sul tema Stay-Interview su cnbc.com: il contesto deve essere INFORMALE.
Si tratta di una zona safe, in cui il dipendente deve sentirsi a suo agio (questo ultimo link è 💎: se avete solo un minuto, leggete solo quello) , non in una specie di trappolone.
Non vi sto a buttare giù tutti gli articoli che girano sul management gentile, ma è un presupposto fondamentale di una zona safe.
Se dall’altra parte del tavolo c’è un mastino, l’unica cosa che un dipendente può fare è evitare un morso, altro che aprirsi e spiegarsi e parlarne 🦁
La relazione durevole con un talento dovrà essere fatta di stima reciproca, ma soprattutto capacità di camminare sulle vicendevoli aperture e sincerità senza farsi male. Non banale.
Non credo basti dividere i contesti: c'è bisogno di reale profondità. Emozionale, empatica, di intelligenza e di intuito. Se si costruisce con un talento questo rapporto, quel talento bisogna trattenerlo a tutti i costi.
La vulnerabilità del manager, il suo essere in grado di empatizzare, sono temi caldissimi per trattenere 💎. Uniti al carisma, fanno forse il manager del futuro. Di certo fanno un manager per cui vale la pena rimanere in azienda.